LE TRE FASI DELLA CONIUNCTIO ALCHEMICA E L’EVOLUZIONE DELLA COSCIENZA

Le fasi dell’Opera Alchemica sono elencate in modo diverso e con nomi e simboli differenti dai vari autori, ma tutti fanno riferimento al fatto che ogni fase ha inizio con una “congiunzione” ed è caratterizzata da un processo (congiunzione – putrefazione – sublimazione – fissazione) che ha termine solo quando questi quattro momenti siano stati attraversati.

Secondo questi autori le fasi principali dell’Opera sono tre[1], ciascuna preceduta da una congiunzione. Queste congiunzioni si riferiscono ai princìpi opposti che l’uomo deve armonizzare dentro e fuori di se (Zolfo e Mercurio, i due Mercuri, i due Zolfi, Alto e Basso, Bene e Male, Fisso e Volatile, Re e Regina, Luce e Oscurità, Sole e Luna etc.) e, nella loro diversità, questi simboli sono accomunati dal fatto di presentare sempre un aspetto maschile e uno femminile.

Una volta realizzata la congiunzione tra i princìpi opposti, l’alchimista deve subito dissolverli e far subire alla materia una morte e una putrefazione, indispensabili perché essa divenga fertile e possa generare un nuovo essere, il “filium philosophorum” o bambino filosofico. Il Re e la Regina alchemici, una volta terminata la fase della Congiunzione, trovano il loro sepolcro nel bagno acquatico o nel talamo sul quale si sono uniti. Devono infatti morire e corrompersi perché una nuova vita possa nascere. Questa morte e disfacimento dei corpi è il presupposto indispensabile perché lo spirito si levi verso l’alto del vaso alchemico e quindi, ridiscenda nuovamente impregnando la terra purificata e dando alla luce il “bambino filosofico” [2].

La materia dovrà essere sottoposta a successivi lavaggi e purificazioni e l’Operatore dovrà “estrarne” lo spirito volatile, distaccandolo dalle scorie della putrefazione e, successivamente, “incarnare” lo spirito e fissarlo al corpo purificato e reso incorruttibile.

La dualità spirito-corpo torna più volte nei testi alchemici come opposizione tra il Fisso, assimilato al corpo, e il Volatile, caratteristica attribuita allo spirito. Se l’esito del combattimento è quello sperato, lo spirito viene “fissato” dal corpo e il corpo sublimato e purificato dallo spirito.

È su questa nuova materia, sintesi dei contrari che si sono uniti, che l’alchimista dovrà lavorare per poi “moltiplicarla” e proiettarla su qualsiasi cosa egli voglia guarire, purificare o rendere perfetta e incorruttibile.

Nella vastissima letteratura alchemica da lui consultata durante la redazione del Misterium Coniunctionis e di Psicologia e Alchimia, Jung aveva individuato tre diversi “gradi” della congiunzione degli opposti perseguita dagli alchimisti.[3]

Questi tre gradi precedono l’inizio delle tre opere degli alchimisti: l’opera al nero o Nigredo, l’opera al bianco o Albedo e quella al rosso o Rubedo.

Il primo grado di congiunzione, detto “unione mentale nel superamento del corpo”, consiste in una sorta di equilibrio psichico tra gli opposti, di una “equanimità”, come dice Jung, stabilita al di là delle condizioni corporee: l’alchimista intende conseguire uno stato nel quale “la ragione possa sottrarre il cuore e lo spirito all’influenza delle emozioni e tenere sotto la sua autorità la turbolenta sfera corporea.” [4] È la condizione alla quale tende, in ogni percorso spirituale, colui il quale sia dedito alla meditazione o all’ascesi.

Nel secondo grado si tratta invece di riunire la dimensione corporea con quella spirituale. Tale operazione è rappresentata con l’immagine delle nozze tra il fisso e il volatile, dell’animale dotato di ali con quello costretto a strisciare sulla terra, della parte nobile e immortale dell’uomo con l’Ombra terrestre e mortale, e consiste nel trasferire nella materia, nel corpo e nella viva realtà quell’unione degli opposti realizzata in precedenza unicamente come “unio mentalis”.[5]È il tentativo di portare nella vita di tutti i giorni le realizzazioni conseguite con la meditazione e con l’ascesi. Chi riesce a trasferire nelle azioni e nei gesti della quotidianità le proprie realizzazioni spirituali, è anche in grado di sanare gli squilibri e le deformità della sua anima.

La realizzazione del secondo grado viene infatti anche descritta come l’elaborazione di una medicina o di un elisir in grado di guarire tutti i mali, sia fisici che psichici.

L’ultimo, il terzo e più perfetto grado della congiunzione consiste infine nel cosiddetto “Unus Mundus”, nell’unire cioè il microcosmo della soggettività dell’individuo con la molteplicità dell’intero universo, riconoscendo che queste due sfere di esistenza, il Microcosmo e il Macrocosmo, dipendono l’una dall’altra e sono segretamente unite tra loro. Realizzare il terzo grado corrisponde in termini psichici, secondo Jung, a trovarsi in totale comunione con il Sé, quel princìpio sopraordinato e sovraindividuale che non conosce limitazioni di spazio o di tempo e che ignora il principio logico di non contraddizione (del “terzo escluso”), accogliendo e componendo in modo armonioso tutte le coppie di contrari.

La materia su cui si opera deve quindi subire una triplice morte separandosi dalla parte indegna di redenzione, detta dagli alchimisti “terra dannata”, per diventare immortale nel terzo grado della congiunzione. Solo a questo prezzo l’Adepto può trasformare il proprio corpo mortale in “corpo glorioso” e spiritualizzato, fatto di sostanza incorruttibile, una “quintessenza” generata dall’unione e dalla pacificazione dei quattro elementi.

Nessuno dei tre gradi della congiunzione può tuttavia realizzarsi senza l’intervento di un terzo termine: il Mercurio dei Filosofi. Questo mediatore tra gli opposti viene spesso descritto, nell’unione sessuale tra i princìpi alchemici, come un duplice seme o mestruo, sia maschile che femminile, le cui due nature devono mescolarsi perché la procreazione divenga possibile. Nel matrimonio svolge il ruolo di Cupido o Paraninfo, che fa incontrare gli sposi destinati l’uno all’altra, oppure è la fonte d’acqua di vita nella quale il Sole e la Luna si immergono per celebrare le loro nozze mistiche.

Nel Theatrum chemicum, citato da Jung nel Misterium Coniunctionis, ci viene detto a proposito del secondo grado di congiunzione che “Sotto questo binario spirituale e corporeo è nascosta una terza cosa che è il legame del Matrimonio Sacro. Questa stessa cosa è l’intermediario che dura fino alla fine di tutti gli esseri e partecipa di volta in volta di entrambi i loro estremi, senza i quali ne esse ne essi potrebbero esistere , essendo divenuti da tre, una cosa sola.”[6]

Non è difficile riferire le considerazioni degli alchimisti sui diversi tipi di congiunzione da realizzare tra i loro princìpi opposti sia al rapporto di unione tra uomo e donna, sia alla tensione che si cela in ogni essere umano tra la sua parte maschile (l’”animus” nelle donne) e la sua parte femminile (l’”anima” negli uomini).

In molti testi l’alchimista viene raffigurato al lavoro accanto alla sua controparte femminile o Soror Mistica, la cui collaborazione è indispensabile perché la sostanza maschile, lo Zolfo, possa unirsi con quella femminile, il Mercurio, e realizzare la Pietra.[7]

Attraverso l’analisi dei vari tipi di rapporto che si possono instaurare tra un uomo e una donna è possibile tracciare una mappa dell’evoluzione della coscienza. È ciò che ha provato a fare Neumann in Storia delle origini della coscienza, in La grande Madre e in Psicologia del femminile, utilizzando gli strumenti della psicologia del profondo[8].

Neumann sostiene inoltre che tale analisi può addirittura permettere di cogliere l’evoluzione di una civiltà nel suo complesso, nel senso che il tipo di rapporto matrimoniale prevalente e diffuso come modello nella coscienza collettiva è un indice sicuro del grado di evoluzione e integrazione degli uomini che vissero in quella civiltà.

Le tre congiunzioni di cui parla anche Jung nel Misterium Coniunctionis possono essere intese sia come tre differenti tipi di “integrazione” tra la parte maschile e la parte femminile di un unico individuo, sia come vere e proprie forme di unione matrimoniale tra persone di sesso diverso.

Nei suoi libri Neumann distingue tra tre tipi culturali di “nozze spirituali” nel patrimonio storico, mitologico e religioso dell’umanità., che corrispondono a tre diverse fasi evolutive della coscienza umana.

Il primo tipo di “situazione archetipica” è quello in cui la realtà e il rapporto con l’altro vengono vissuti come relazione con un utero chiuso in se stesso, simultaneamente maschile e femminile, attivo e passivo, perché non è chiaro il confine che separa il soggetto da ciò che lo circonda e lo nutre. Il mondo, l’altro, vengono fantasticati come entità che devono accudirlo e attribuisce ad entità esterne tutto ciò che accade dentro di lui. Questa fase culturale dell’umanità (che è anche la fase iniziale nello sviluppo della coscienza di ogni individuo) è caratterizzata dal culto delle dee madri (rispettivamente, della propria madre biologica) ed è detta “ouroborica” dall’ouroboros, il serpente che si nutre della propria coda unendo e confondendo il proprio lato attivo con quello passivo.

Neumann sosteneva che sulla “Potnia Theron” o “Signora degli animali”, dea degli elementi, degli animali, delle piante e delle forze della Natura, che spesso si accompagna ad una coppia di animali gemelli, venisse proiettato inconsapevolmente il princìpio ordinatore degli opposti che si agitano nel mondo. Gli opposti sono appunto rappresentati dai due animali che la Dea può governare a suo piacimento.

In questo stadio evolutivo dell’uomo il rapporto maschile-femminile si basa unicamente sul contributo che il maschio può dare alle potenze femminili della fertilità, in quanto fecondatore ed egli viene “riconosciuto” dal femminile unicamente come “Divino Paredro”, uomo-fanciullo destinato a unirsi a una Dea Madre dalla quale non si emanciperà mai, oppure come vecchio debole e bisognoso di protezione. Tali uomini-fanciulli hanno quindi esistenza solo attraverso il loro potere fallico-riproduttivo e spesso, nei miti, vengono uccisi o castrati dopo aver ottemperato al compito della fecondazione, il che li rende intercambiabili tra loro a scapito del loro senso di unicità, della presenza, dell’esserci qui ed ora, che è indispensabile per la formazione dell’Io.[9]

Questo tipo di rapporto con il polo femminile dell’esistenza è caratteristico di un maschio polarizzato narcisisticamente sull’amore degli altri per lui più che sul suo amore per gli altri, sul suo ruolo di amato più che di amante. Le nozze con la Grande Madre hanno inoltre sempre un sottofondo nefasto, perché, in questo tipo di rapporto, l’altra faccia dell’Amore nasconde la morte e la Castrazione. Il maschio riconosce tutto il potere ammaliatore della femmina, intesa come colei che risveglia la sessualità. Non si tratta tuttavia ancora di una sessualità cosciente, cioè riferita a se stessi e alle proprie scelte: l’attrazione verso la donna viene attribuita alle arti di seduzione femminili e vissuta come incantamento e perdita di coscienza. Un altro tratto caratteristico di questa fase è un senso di colpa sotterraneo nei confronti della Grande Madre che si manifesta nell’uomo con fantasie di smembramento, autocastrazione e inghiottimento. A questo livello di consapevolezza l’uomo si identifica nel “fanciullo divino” accudito, coccolato e protetto, “piccolo amante” di una Grande Madre che può castrarlo in qualsiasi momento. Così, nell’inconscio maschile, accanto all’aspetto rassicurante delle Dee Madri, che accolgono e nutrono, ve n’è sempre uno terribile e distruttivo che ce le mostra nell’atto di racchiudere, catturare, dissolvere, divorare, smembrare e uccidere.[10]

L’incapacità di affrontare i propri “lati oscuri”, non integrati con il resto della personalità cosciente, conduce a introiettare la figura della “Madre Terribile”, la quale, annidata nell’inconscio, opera in modo occulto e si manifesta sotto la sua forma distruttiva come rifiuto di se stessi, impossibilità di scorgere vie di uscita dalla situazione in cui ci si trova, passività, depressione, tendenze suicide, svalutazione sistematica del presente e del passato, rifiuto del futuro e di qualsiasi prospettiva positiva.

Ogni tentativo di emanciparsi da questa situazione viene vissuto come grave tradimento nei confronti della Grande Madre (ormai divenuta parte dell’anima, una entità interiore che viene costantemente confusa e scambiata con entità esterne), accompagnato da un bisogno disperato di giustificarsi con la Dea irata.

L’uscita da questa fase di nozze della Grande Madre con l’uomo-fanciullo[11]passa attraverso l’identificazione dell’uomo con la figura mitica dell’Eroe Solare, che combatte contro il Drago Ouroborico Primordiale per conquistare il tesoro della propria individualità.

Ciò con cui si viene a conflitto è, in realtà, l’opposizione interna al processo di evoluzione della coscienza. Vi è infatti nell’uomo una forte resistenza al cambiamento, una difficoltà quasi insuperabile a sottrarsi alla coazione a ripetere i vecchi schemi di rapporto. L’aggressività e il senso di sfida dell’Eroe avverte nei confronti della Grande Madre possono quindi essere controbilanciate dall’inerzia, dal complesso di colpa e, per chi non sa trovare una via di uscita da questo conflitto, dalla disperazione. Questa resistenza è il vero drago contro il quale l’eroe è chiamato a combattere.

Perché quella “equanimità tra gli opposti”, che era poi il fine della prima congiunzione alchemica, possa realizzarsi, queste figure femminili negative, veri e propri vampiri di energia, che sono poi l’Ombra, vanno riconosciute, affrontate e portate dentro se stessi. Questa impresa, nella dinamica del rapporto uomo – donna, equivale a portare a termine l’Opera al Nero.

Prima di procedere oltre e considerare il secondo tipo di “nozze spirituali”, è necessario riesaminare il cammino fin qui percorso dal punto di vista femminile. Le donne, infatti, nella loro evoluzione, devono seguire un percorso leggermente diverso da quello maschile.

Il punto di partenza della coscienza femminile è quello dell’identificazione con la madre, o meglio, con il “mondo delle madri”, un mondo che esclude da sé il maschile se non nelle forme innocue di fanciullo o vecchio malato ed offre solidarietà e protezione, “sorellanza”, a chi ne faccia parte.

Il maschile adulto e autonomo viene invece rimosso, quando ciò sia possibile, altrimenti viene vissuto come pericoloso, violento, ctonio e foriero di morte e distruzione. Un esempio di questo maschile ci è dato dal mito di Ade, dio degli Inferi, che rapisce la fanciulla Persefone alla madre Demetra, trascinandola con sé e celebrando le nozze nel mondo sotterraneo[12].

Gli inferi rappresentano un mondo di desideri e passioni maschili che la fanciulla teme e non conosce. Essa si sente scelta e desiderata per delle caratteristiche femminili che non ha ancora assunto come proprie. Talvolta, invece, la “Puella” assume il ruolo di Artemide, che sa suscitare il desiderio maschile ma non sa associarvisi, e quindi deve fuggire di fronte a un maschio che, quando si avvicina troppo, viene trasformato in animale, cioè riconosciuto e vissuto solo per il suo aspetto materiale e bestiale (cosi come, nel mito, Artemide trasformò in cervo Atteone, che l’aveva vista nuda mentre si bagnava presso un fontanile). A questo livello di consapevolezza la donna matura vive invece il ruolo della Grande Madre e nutre, accoglie, racchiude e protegge ma, nel contempo, controlla e crea dipendenza in chi le è soggetto, facendo leva sulle debolezze del maschile, che tende sotterraneamente a svalutare, opponendosi (almeno apparentemente) al percorso di liberazione dell’anima degli uomini che rientrano nella sua sfera di azione. A questo stadio di coscienza possono essere infine ricondotte quelle unioni fondate sui soli aspetti formali ed esteriori, nelle quali ognuno ricava identità e ruolo dalla maschera che l’altro gli consente di indossare.

Il secondo tipo di “nozze spirituali” viene collegato da Neumann a quello stadio della coscienza che egli chiamava “La liberazione della Prigioniera” o “La conquista del Tesoro” e consiste nella scoperta e nella liberazione della propria anima. Corrisponde alla congiunzione nella quale l’alchimista deve unire fisso e volatile, spirito e materia. Si tratta di trasferire nella materia, nel corpo, nella viva realtà, quella unione degli opposti realizzata in precedenza solo come “unio mentalis”. La fase fallica è stata superata e la donna è divenuta una controparte del maschile con la quale è possibile un rapporto personale. La “promessa sposa” deve tuttavia essere conquistata superando una prova, dimostrando forza, amore, intelligenza, coraggio, spirito, dedizione, a seconda delle caratteristiche positive con le quali l’uomo ora si identifica e per le quali la donna lo “riconosce”. Nei miti e nelle fiabe che rispecchiano questo stadio di evoluzione della coscienza, la donna compare talvolta accanto all’Eroe, nella lotta contro le forze avverse, come Aiutante magico o come Sorella MinoreLe nozze conducono di solito l’Eroe a diventare re, mago, possessore di oggetti o animali magici o di tesori, e adombrano l’unione con un’Anima “sottratta” al potere della Madre Terribile e agli oggetti delle proiezioni psichiche.

Superato lo stato della eterna fanciulla-vergine, dell’eterna Kore, la donna soggiace tuttavia al pericolo di subire la fascinazione dell’uomo inteso come princìpio astratto celeste e spirituale e di negare i propri valori femminili per affermare i princìpi maschili. Ritroviamo spesso questa fenomenologia tra le donne che annullano se stesse nell’amore e nella devozione per un uomo o per una causa, tra le donne che restano fedeli alla memoria del padre, tra le suffragette e le suore, tra le attiviste di partito, etc. Questo pericolo, che conduce la donna (e l’anima maschile) a immolarsi a un princìpio astratto, svuotando di significato la propria vita, può essere sventato solo con l’uccisione simbolica del padre “esterno” e con l’introiezione consapevole della figura maschile.

Sia per l’uomo che per la donna, quando la figura maschile e paterna comincia ad emergere all’attenzione della coscienza, essa appare come un satellite, una mera emanazione del potere della Grande Madre, capace solo di eseguirne gli ordini e di renderne esplicita tutta la collera e la violenza.[13]

Successivamente, se la figura paterna acquisisce forza, forma e autonomia, essa prende a incarnare sia l’adesione alle leggi, ai codici morali e alle norme che la società si è data, sia il principio celeste, ideale e spirituale, il quale sembra opporsi alla materia.

Secondo Neumann esistono due diverse forme in cui il potere patriarcale tende ad essere vissuto come castrante per l’anima: la “Prigionia” e la “Possessione”.

Nella “Prigionia” l’Io resta totalmente dipendente dal padre in quanto rappresentante delle norme collettive, dell’Etica, della morale tradizionale e delle convenzioni. Lo sviluppo della personalità è in tal modo inibito e si limita a una pappagallesca ripetizione dei modelli ereditati dall’ambiente in cui si è nati.

La “Possessione”, invece, è caratterizzata da una spinta luciferica verso l’alto, ci si identifica esclusivamente con quelle caratteristiche intellettive e spirituali che costellano l’archetipo del Padre. L’Io conosce allora l’annullamento mediante lo Spirito ed è posseduto da una inflazione ascetica della “parte celeste dell’uomo”, che gli fa perdere ogni contatto con la sua parte terrena.

“L’uccisione mitica del padre”[14]consiste, in entrambi i casi, nel riconoscere questo archetipo come una parte di se stessi, non proiettandolo più su figure esterne. Se il conflitto ha luogo ma non vi è introiezione si ha poi “l’eterno figlio ribelle”, immobile sulla soglia di una trasformazione che non avviene mai. Le prove che l’uomo deve superare per conquistare un rapporto reale col femminile (e viceversa) consistono in ultima analisi nell’integrazione tra la parte Ombra e quella luminosa, nella consapevolezza che il Drago contro cui si combatte per liberare l’anima prigioniera è una parte di sé.

Questa integrazione, questo assorbire l’Ombra nei confini del proprio essere, corrisponde all’Opera al bianco degli alchimisti.

Il terzo ed ultimo tipo di “nozze spirituali”, legato all’Opera al Rosso, è quello in cui l’uomo deve saper ricondurre il microcosmo della sua soggettività al Macrocosmo, all’Universo, riconoscendo il legame segreto tra le due sfere di esistenza.

Chi è giunto a questo livello di consapevolezza è in totale comunione con il Sé e contempla e vive in modo armonioso tutte le coppie di contrari.

In questa fase il femminile viene vissuto dall’uomo come potere salvifico e trasformatore, guida nel suo cammino interiore (Sophia, Maria Vergine, Iside, Athena, Tara, la Regina e la Soror Mistica degli alchimisti). La donna sperimenta invece il maschile come una forza attiva volta alla realizzazione di obbiettivi elevati, una forza che, superato ogni attaccamento, si manifesta come pura azione spirituale che viene resa fertile e consapevole dall’incontro con le energie femminili esaltandone, a sua volta, il valore e la funzione. Quest’ultimo tipo di nozze corrisponde ai riti di morte e resurrezione degli iniziati ai misteri, durante i quali il princìpio femminile veniva sperimentato come fonte di luce e redenzione e il “princìpio materno” veniva recuperato in chiave positiva ed evolutiva. Si può citare, a questo proposito, la preghiera che Apuleio rivolge ad Iside dopo aver abbandonato le spoglie di asino ed essere stato iniziato ai misteri della Dea[15]: “Tu si sei santa, ti sei in ogni tempo salvatrice dell’umana specie, tu nella tua generosità porgi sempre aiuto ai mortali, tu offri ai miseri in travaglio il dolce affetto che può avere una madre. Né giorno né notte, né attimo alcuno, per breve che sia, passa senza che tu lo colmi dei tuoi benefici; tu per mare e per terra proteggi gli uomini, allontani le tempeste della vita e porgi con la tua destra la salvezza, tu sempre con la tua mano sciogli le fila che il destino aggroviglia in nodi inestricabili, tu calmi le bufere della fortuna e poni un freno alle funeste rivoluzioni delle stelle, te onorano gli dei del cielo e rispettano quelli dell’Inferno, tu fai ruotare la terra, dai luce al sole, governi l’Universo, calchi col tuo piede il Tartaro. A te obbediscono le stelle, per te ritornano le stagioni, di te si rallegrano i Numi, a te servono gli elementi. Al tuo cenno spirano i venti, offrono il nutrimento le nubi, gemogliano i semi, crescono i germogli. La tua maestà temono gli uccelli vaganti per il cielo, le fiere erranti per i monti, i mostri che nuotano nel mare.”

Questo aspetto Isiaco è presente come possibilità in ogni donna, ma per riuscire a vivere armoniosamente l’unione con un archetipo così potente, per riuscire a “vedere” come ogni donna reale porti con se queste caratteristiche luminose, l’uomo deve averne colto l’eco dentro di sé, nella sua anima, negli stati di meditazione profonda.

L’aspetto superiore del femminile non può infatti essere conosciuto, ma solo ri-conosciuto.

In tutti e tre i tipi di “nozze spirituali” prese in esame, il femminile, positivo o negativo che sia, ha comunque, nei confronti del maschile, un ruolo trasformatore, rappresenta una spinta all’evoluzione della coscienza, anche quando il ruolo incarnato è quello della Grande Madre Divoratrice che sembra opporsi all’Eroe. Anche in questo caso, infatti, essa stimola l’Eroe a cambiare, a crescere e non soccombere e, nei suoi aspetti terribili, sottolinea proprio quegli aspetti della coscienza il cui sviluppo è carente.

Alessandro Orlandi

NOTE

[1] Alcuni sostengono che vi siano tre o più distinte Opere (al Nero, al Bianco e al Rosso), ciascuna tripartita, altri che non vi sia che una unica Opera, suddivisibile nelle tre fasi fondamentali.

[2] Il Re e la Regina alchemici, dopo essersi immersi nella fonte mercuriale ed essersi uniti nell’abbraccio amoroso devono morire e dissolversi per poter poi generare. Analoga è la sorte di Gabrizio e Beja nella Visione di Arisleo. Beja assume il fratello nel suo corpo riducendolo in atomi.

[3] Cfr. Misterium Coniunctionis vol. II, cap VI, § 1, 8, 9 Torino 1989

[4] Op. cit. pp. 470 e sgg.

[5] Nell’alchimia cinese e indiana, nel buddismo e nel taoismo, questo grado di congiunzione viene descritto come unione dello spirito immortale con la forza generativa, situata in basso, che determina i processi vitali e riproduttivi. La forza generativa deve ascendere dalla zona genitale fino al chakra superiore, situato sulla testa, mentre lo spirito deve compiere il cammino inverso, dall’alto verso il basso. Anche nell’alchimia orientale si parla di matrimonio tra una parte yang maschile con una yin femminile e la congiunzione viene perseguita mediante la disciplina della respirazione yoga (yoga kundalini) o facendo ricorso a tecniche di trattenimento del seme durante i rapporti sessuali.

[6] Cfr. Theatrum Chemicum, pag. 418 dell’edizione del 1602

[7] Cfr. ad esempio le illustrazioni del Mutus Liber di Altus. La Soror Mistica dell’alchimista francese Nicolas Flamel si chiamava allusivamente Perenelle.

[8] Cfr. E. Neumann, La Grande Madre, Roma 1981, Psicologia del femminile Roma 1975, Storia delle origini della coscienza Roma 1978.

[9] Cfr. l’usanza, riferita da R. Graves (I miti greci, Milano 1979) e da J. J. Bachofen (Il Matriarcato, Torino 1988) di sacrificare il Divino Paredro ad ogni fine d’anno, sostituendolo con un altro fanciullo che doveva rappresentare l’anno nuovo. E. De Martino ha sostenuto (Il mondo magico, Torino 1986) che la causa del diffondersi delle pratiche magiche nelle civiltà primitive vada ricercata nella paura generata dallo scarso sviluppo della coscienza e del senso dell’Io, che espone gli individui al rischio che i fenomeni esterni li possano “espropriare” da se stessi generando identificazioni incontrollabili. De Martino parla allora della magia come di un mezzo per “garantire” la presenza di un individuo nel mondo, in quanto essa fornirebbe gli strumenti per controllare una realtà che viene avvertita come minacciosa.

[10] Ecate, la Gorgone, Kali e Cibele. Cfr. lo schema a pag. 89 della Grande Madre di Neumann, (op. cit.) nel quale le varie figure mitologiche vengono riferite ad alcune tipologie fondamentali.

[11] Cfr. anche i Saggi sul Puer di J. Hillmann per i tratti psicologici caratteristici del “Puer Aeternus” come figura mercuriale, nella sua eterna indefinizione.

[12] Neumann dà una interpretazione di questo mito in Psicologia del femminile (op. cit.), riferendolo all’evoluzione della coscienza femminile.

[13] Un equivalente sociale del princìpio maschile come satellite della Grande madre archetipica si trova in molte associazioni, segrete e non, di soli uomini (ad esempio i mafiosi siciliani dicono: “Mammuzza comanda, Picciotto obbedisce”), nelle quali gli individui si ritengono ispirati nelle loro azioni criminose da una astratta entità femminile, si sentono uniti tra loro da un patto di sangue e fratellanza in quanto “figli di una stessa madre” e sono incapaci di provare un senso di responsabilità che non sia collettivo. Questo rapporto aberrante con l’archetipo materno, oltre che in alcune associazioni criminali, si ritrova anche, alle volte, riferito alla Patria, in tempo di guerra.

[14] Nella sua teoria del parricidio, sviluppata in Totem e tabù, Freud interpreta l’Eroe come colui il cui destino è quello di uccidere il Padre e sposare la Madre. In realtà l’Eroe deve misurarsi con l’archetipo materno prima ancora che con quello paterno. Se nei miti, nelle fiabe e negli apologhi alchemici si parla dell’incesto in termini positivi, questo va inteso come introiezione della figura materna, che viene riconosciuta dall’eroe come parte di sé, come vittoria sul lato oscuro, sul potere della madre e sulla paura di castrazione.

[15] Cfr. Apuleio Le Metamorfosi o l’Asino d’oro XI, 25

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