La Vergine e il sale filosofico degli alchimisti

Uno dei simboli più potenti che costellano l’idea di anima nell’immaginario cristiano è quello della Vergine. Nel simbolismo mariano la Vergine Maria è la Ianua Coeli, la porta misteriosa che, per opera dello Spirito Santo, può trasfigurare la terra che vincola l’uomo al mondo e alla morte e introdurlo al cospetto di Dio.

Questo ruolo di Mediatrice tra uomo e Dio viene svolto dalla Vergine in uno spazio puro e incorrotto, celato nel profondo dell’anima e che dell’anima costituisce l’aspetto più vitale.
Ogni uomo nasconde nel cuore, secondo questa concezione, un calice che ha il potere di ricevere in sé una “sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna” (Gv 4, 14) e che rende fertile quella parte di Terra Vergine che portiamo in noi.


Maria è anche porta del Cielo perché collega Cielo e terra in senso inverso: è attraverso di lei che il Verbo si fa carne, divenendo attivo e percepibile nel regno delle cose visibili.

Attraverso il dogma della sua Assunzione in cielo Maria riconduce al mistero del corpo glorioso che ci attende nel regno dei cieli e, nella pratica quotidiana, attira la nostra attenzione sul ruolo della preghiera profonda e della meditazione che sono “partecipazione all’assunzione della Vergine” e “recettività dell’anima che si apre all’azione dello Spirito Santo”. (Cfr lo scritto di Giovanni Vannucci: La Vergine e l’anima del mondo in: “Fraternità” n. 3. 1982)

In un suo studio sul simbolismo della quaternità, (in C.G. Jung, La simbolica dello spirito) Jung prende in considerazione le polarità:

Spirito Santo

Padre

Figlio

Maria

e considera Maria come polarità femminile della SS. Trinità a causa del suo rapporto con lo Spirito Santo, che la rende il vaso puro che può generare l’essere che realizza in sé le due nature: l’umana e la divina. Jung rileva che alla rappre­sentazione di Dio trino corrisponde spesso un Satana Tricefalo, che appare come Umbra Trinitatis, avversario di Cristo e Signore della Materia e della molteplicità.

Solo l’integrazione delle qualità del principio femminile, rappresentate da Maria, può riunificare e pacificare l’anima umana, che è il teatro del lacerante conflitto tra i princìpi opposti. Così l’Assumptio Beatae Mariae comporta il passaggio del corpo materiale e mortale, soggetto allo spazio e al tempo, al regno dei Cieli.

Maria incarna la possibilità data all’uomo di reintegrarsi nel principio creatore e trinitario. Negare o rimuovere questo archetipo in quanto principio attivo in noi, significa rinunciare a quell’amore verso l’alto che unifica e rende elevata e piena di senso la nostra esperienza terrena.

Nel linguaggio della psicoanalisi junghiana l’uomo, rimuovendo il principio femminile salvifico e sapienziale legato a Maria, condanna se stesso a doverlo vivere attraverso la propria Ombra.

La costellazione archetipica della quale abbiamo fin qui parlato viene allora ad assumere caratteristiche sataniche e lavora per la frammentazione e la dispersione dell’esistenza e dei rapporti. L’archetipo mariano, al contrario, opera attraverso l’amore, secondo la via del cuore e tende a realizzare l’integrazione e l’armonizzazione degli opposti che si agitano nell’anima e a dissolvere le barriere innalzate tra gli uomini dalla brama di potere e dalle distinzioni di razza e di censo.

La Vergine Maria, il calice destinato ad accogliere il Cristo sulla terra, è stata accostata al santo Graal, il calice con cui Giuseppe di Arimatea raccolse il sangue e l’acqua che sgorgavano dal costato di Gesù crocefisso. Secondo la leggenda il Graal fu intagliato all’inizio dei tempi in uno smeraldo caduto dalla fronte di Lucifero, quando questi si ribellò a Dio (lo stesso calice era denominato da Wolfram Von Eschembach lapsit exillis, cioè pietra esiliata, da exilium, o caduta dai cieli, da ex coelis, stesso nome dato alla loro Pietra dagli alchimisti). Il Graal rappresenta, nell’uomo, lo spazio sacro del cuore, destinato ad accogliere il Verbo, il calice invisibile che custodisce il senso interiore della tradizione cristiana. Nel mondo esterno rappresenta la Chiesa in quanto custode nel mondo della stessa tradizione, in quanto Gerusalemme terrena che può condurci a quella celeste, cioè all’aspetto iniziatico della tradizione.

Narrava ancora la leggenda che la coppa del Graal scomparve dalla terra e che i cavalieri della Tavola Rotonda si proposero come mèta suprema di ritrovarla. Questo pellegrinaggio verso la Terra Santa, questo vagare nel labirinto del mondo alla ricerca del Centro e della Parola Perduta è destinato al fallimento se il viaggio non diventa anche un cammino interiore.

Anche gli alchimisti parlavano di una terra Vergine, resa feconda da un seme spirituale e destinata a partorire la loro Pietra, una terra vergine che spesso essi identificavano con il Sale della Sapienza.


Il culto della Vergine fu considerato dagli alchimisti come una allegoria del loro Magistero e le cattedrali gotiche francesi, veri templi eretti all’arte alchemica, sono quasi tutte consacrate a Notre Dame, cioè a Maria.

Come esempio di linguaggio “alchemico” nel culto mariano Fulcanelli, nelle Dimore Filosofali, cita l’epistola che viene letta alla messa dell’Immacolata Concezione: “Il signore mi ha posseduta all’inizio delle sue vie. Io ero prima che egli plasmasse qualsiasi altra creatura. Io ero nell’eternità prima che venisse creata la terra. Gli abissi non erano ancora e io ero già concepita. Le sorgenti non erano ancora uscite dalla terra; la pesante massa delle montagne non era ancora stata formata; io ero già nata prima delle colline. Egli non aveva ancora creato né la terra, né i fiumi, né consolidato la terra mediante i due poli. Quando egli preparava i Cieli io ero presente; quando circoscrisse gli abissi con i loro limiti e stabilì una legge inviolabile; quando stabilizzò l’aria attorno alla terra; quando equilibrò l’acqua delle sorgenti; quando rinchiuse il mare nei suoi limiti e quando impose una legge alle acque perché non superassero i confini loro assegnati; quando gettò le fondamenta della terra, io ero con lui e regolavo tutte le cose”. (Si osservi la straordinaria somiglianza con l’inno a Iside citato da Apuleio nell’Asino d’oro).

Il culto di una dea vergine che partorisce un bambino è comunque antecedente alla nascita del cristianesimo. Da Semele, la madre di Dioniso, ad Iside (in una delle possibili etimologie il nome viene fatto derivare dal greco Isha, Vergine), sono numerosi gli esempi delle Vergini madri. A questo proposito nella sua Storia delle credenze e delle idee religiose Mircea Elide scrive: “La teologia di Maria, della Vergine Madre, riprende a perfezione le antichissime concezioni asiatiche e mediterranee della partenogenesi (capacità di autofecondazione) delle grandi dee (Hera, Cibele). La teologia mariana rappresenta la trasfigurazione dell’omaggio più antico e più significativo che si sia mai reso, dalla preistoria, al mistero religioso della femminilità: la Vergine Maria verrà identificata, nel cristianesimo occidentale, con la figura della Sapienza divina, mentre la chiesa di Oriente svilupperà accanto alla teologia della Teokotos, la Madre di Dio, la dottrina della sapienza celeste. Sophia, nella quale si manifesta la figura femminile dello Spirito Santo”.
L’arte sacra dei primi cristiani, che rappresenta la Vergine con il bambino Gesù tra le braccia, sembra aver tratto ispirazione dal culto di Iside che culla il piccolo Horus (la cui nascita veniva celebrata la notte del 24 dicembre, data anche della nascita di Mitra, il sol invictus dei misteri ritraici di origine persiana, che nasceva in una grotta da una pietra.) Anche Fulcanelli (nel Mistero delle Cattedrali) ritiene che il culto delle Madonne nere si sia innestato su un preesistente culto isiaco, mantenendo talvolta invariati anche gli oggetti di culto (immagini e statue della dea reinterpretate come raffigurazioni della Madonna).

Anche Vesta o Hestia (dal sanscrito Was, abitazione) era una dea vergine della terra a cui erano sacri sia il focolare domestico che il fuoco sacro della città, l’estinguersi del quale era ritenuto un segno inequivocabile dell’avvicinarsi di una calamità.

Esiste spesso una relazione tra gli animali che nel simbolismo alchemico raffigurano il Mercurio o lo Zolfo, e la Vergine. Così la vergine viene spesso raffigurata nell’atto di calpestare un serpente ed il gallo, sacro ad Hermes, veniva designato dai greci anche con il termine alektor che poteva significare anche Vergine o sposa.
Parlando dell’unicorno (gli alchimisti si riferivano alla coppia cervo – unicorno per indicare il loro Zolfo ed il Mercurio) il Fisiologo, un libro gnostico di autore anonimo risalente al secondo secolo dopo Cristo, sostiene che, data la ferocia di questo animale, c’è un solo modo per poterlo catturare: “Espongono davanti ad esso una Vergine Immacolata, l’animale balza nel seno della Vergine ed essa lo allatta e lo conduce al palazzo del Re”.

Nei brani sotto citati, tratti da vari testi alchemici, la Vergine viene citata come terra interiore, pura ed incontaminata, che deve essere fecondata dal seme spirituale che l’alchimista riesce a far giungere fino a lei, o come vera Madre del Filius Philosophorum, e viene identificata con il Sale alchemico o con la terra che lo contiene:


“La Terra Vergine si trova nella coda della Vergine” (Dal Corpus Hermeticum)
“Il tuo bambino è vecchio, oh Vergine, egli è l’Anziano dei giorni ed ha preceduto tutti i tempi” (Da Ephrem Syrus, Hymni et Sermones)
“Il nostro Sale…è una Vergine intatta e tuttavia partorisce e abbonda di latte…la nostra Pietra è il Sale e il nostro sale è una terra e questa terra è Vergine” ( Il Cosmopolita, Nuovo lume chimico)
“Questo fuoco sulfureo è la semenza spirituale che la nostra Vergine (restando tuttavia senza macchia) raccoglie, perché la verginità incorruttibile può ammettere l’amore spirituale secondo l’autore del Segreto Ermetico e secondo la stessa esperienza…la nostra Vergine può essere maritata due volte senza per questo perdere la sua verginità” (Ireneo Filalete, L’entrata aperta al palazzo chiuso del Re).
In modo analogo si esprime Ripley nel suo Trattato sul Mercurio e Blaise De Vigenere nel Trattato sul fuoco e sul Sale dice che “il Sale va estratto da quella terra virginale e pura che è contenuta nel centro di tutti gli elementi compositi, vale a dire nella loro profondità”.


Siamo di fronte, come si vede, alla terza sostanza arcana, il Sale, che gli alchimisti giudicavano indispensabile per la produzione della Pietra accanto allo Zolfo ed al Mercurio.

Evocato talvolta dall’immagine della “Salamandra che non brucia nel fuoco”, il Sale veniva associato tanto alle facoltà intellettive che alla proprietà di conservare e rendere incorruttibili le vivande alle quali veniva mescolato.


Kunrath paragona il centro del Sale all’Inferno e descrive il sole come luce corporificata, chiamandolo “Sale di Saturno”: “Ascolta e sii attento: questo Sale di Saturno è la pietra antichissima. È un mistero! Il cui nocciolo sta nel denario. Sii silenzioso come Arpocrate! Chi può comprendere, comprenda. Ho detto. Il sale della sapienza, e non è senza motivo, è stato adornato dai sapienti con vari nomi. Essi hanno detto che niente era più utile nel mondo di esso e del sole. Approfondisci questo punto”. (Kunrath, L’Amphitheatre de l’eternelle sapience).


Secondo il Cosmopolita (cfr. il Trattato sul Sale nel Nuovo lume chimico) esistono tre tipi di sale: “Vi sono tre specie di Sali. Il primo è un sale centrale, generato dallo spirito del mondo senza alcuna discontinuità nel centro degli elementi e per le influenze degli astri e governato dai raggi del Sole e della Luna del nostro mare filosofico. Il secondo è un sale spermatico, domicilio della semenza invisibile, il quale in un dolce calore naturale, per mezzo della putrefazione, dà da sé la forma e la virtù vegetale affinché questo invisibile seme assai volatile non sia dissipato e interamente distrutto da un eccessivo calore esterno o da qualche altro accidente contrario e violento; perché, se ciò capitasse, non sarebbe più capace di produrre niente. Il terzo tipo di Sale è l’ultima materia di tutte le cose, che si trova in esse e che resta ancora dopo la loro distruzione.” Anche il Sale, come il Mercurio e lo Zolfo, ha una natura paradossale; scrive ancora il Cosmopolita: “Il nostro Sale …non è altro che oro vero e naturale e tuttavia vilissimo, gettato nei sentieri e li trovato. È di gran prezzo e di valore inestimabile e tuttavia non è che letame, è un fuoco che brucia più fortemente di ogni altro e tuttavia è freddo, è un’acqua che lava durissimamente e tuttavia è secca; è un martello d’acciaio che batte persino sugli atomi impalpabili e tuttavia è come acqua molle, è una fiamma che riduce tutto in cenere e nondimeno è umida,…è un uccello che vola sulla cima delle montagne e tuttavia è un pesce…sono i raggi del Sole e della Luna o il fuoco dello Zolfo e tuttavia non è che ghiaccio freddissimo, è un albero bruciato che però fiorisce quando lo si brucia e porta abbondanza di frutti, è una madre che partorisce e tuttavia non è che un uomo,…è una piuma trasportata dal vento ma pesa più dei metalli, è un veleno più mortale del basilisco e tuttavia caccia ogni specie di malattia…”


Nelle Dodici chiavi della filosofia di Basilio Valentino, nella quarta chiave è raffigurato uno scheletro in piedi su un catafalco, accanto al quale arde una candela, e, vicino allo scheletro, un tronco di quercia essiccato. Nel simbolismo alchemico la quercia cava raffigurava il “forno filosofico” entro il quale veniva cotto l’uovo filosofico, cioè il recipiente entro il quale si realizzava la trasmutazione alchemica. La figura di Basilio rappresenta l’estrazione del “Sale filosofico”, quel sale che ha il potere di preservare per sempre dalla putrefazione ciò con cui viene a contatto. Un simile Sale, ci dice Valentino, “È inutile se il suo interno più profondo non è scoperto ed il suo esterno spinto al centro”.

Il Sale viene liberato dalla cenere ottenuta con la combustione e dev’essere poi unito allo Zolfo e al Mercurio che originariamente appartenevano al corpo non purificato. In tale modo diviene possibile ricostruire, con l’aiuto del fuoco, ciò che distruzione e dissezione avevano dissolto, ma il nuovo corpo, a differenza del vecchio, è un corpo immortale.


Nel De confectione Lapidis Rupescissa definisce il Sale come “L’acqua coagulata dalla secchezza del fuoco”; Mylius lo chiama “Il diadema del tuo cuore” e nello stesso modo viene definito da Senior nel De Chemia. Per Senior il Sale è anche, alternativamente, “il corpo bianco della cenere” o “la terra bianca fogliata che va separata dalla terra dannata e nera”, cioè dalla parte impura, pesante e malvagia della terra. Lo stesso Senior in Artis auriferae, spiega come il Mercurio dei filosofi si fabbrichi dal Sale: “…dapprima diventa cenere, poi Sale, e dal Sale, mediante diverse operazioni, il Mercurio dei Filosofi”.


Molti autori credono che nel Sale siano fusi sia lo Zolfo che il Mercurio, tanto che alcuni lo chiamano Rebis, “la cosa doppia”, un appellativo che, peraltro, veniva riferito talvolta allo Zolfo, talvolta al Mercurio.

Infine il testo ermetico “Tractatus aureus”, contenuto nel Musaeum Hermeticum, così ammonisce l’alchimista che pretenda di portare a termine il suo Magistero senza servirsi del Sale: “Colui che opera senza Sale non ridesterà i corpi morti, colui che opera senza Sale tende un arco senza corda. Perché voi in effetti dovete sapere che i saggi hanno bisogno di un Sale assai diverso da questi minerali volgari”.

Alessandro Orlandi

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