Lo zolfo filosofico

Gli Alchimisti considerano lo Zolfo uno dei tre princìpi della loro Opera e lo chiamano Spirito o materia prima del Sole e dell’Oro filosofico, attribuendogli una natura maschile e ignea e la facoltà di coagulare (mentre il Mercurio è solitamente femminile, era considerato dissolvente ed acquatico [1]).

I libri di alchimia si esprimono per enigmi e per parabole, ma c’è un punto sul quale sembrano concordare: si giunge ad ottenere sia lo Zolfo che il Mercurio e il Sale alchemici solo invertendo, rovesciando, rivolgendo verso l’interno ciò che, senza l’intervento dell’Arte, seguirebbe altrimenti la direzione opposta.

Se ci limitiamo al punto di vista psichico, si potrebbe sostenere che lo zolfo abbia una analogia con l’energia che trasferiamo negli oggetti delle nostre proiezioni, nelle persone che amiamo o detestiamo, negli oggetti che riteniamo di possedere, nel nostro ruolo sociale, nelle forme che assumono le nostre ossessioni, speranze o timori. Gli antichi greci, ci ricorda James Hillman nel suo saggio Il Sogno e il mondo infero, chiamavano eidola le immagini delle persone care, viventi o defunte e, nei viaggi nell’oltretomba di eroi come Ulisse o Enea, è difficile stabilire una netta demarcazione tra ombre evocate dall’Ade e immagini interiori.

Quello degli alchimisti era in effetti un pensiero di tipo magico e dunque essi ritenevano che l’energia potesse essere trasferita realmente all’esterno, “migrare” effettivamente negli oggetti delle proiezioni o di un transfert. Del resto, James Frazer dedica i capitoli 66 e 67 del Ramo d’oro all’idea di anima esterna: cioè alla credenza, caratteristica del pensiero magico di molte culture, che l’anima, o una sua parte, possa essere trasferita in oggetti, piante o animali (idea resa “pop” dalla Rowling nella saga di Harry Potter con gli horcrux, che probabilmente le sono stati ispirati proprio dalla lettura di Frazer). Ritroviamo la stessa concezione della trasferibilità dell’anima nel nagualismo messicano, nello sciamanesimo africano e siberiano e nei tulpa tibetani, forme-pensieroche è possibile animare con la psiche, come il Golem praghese di rabbi Loew.

Ebbene, l’Opus alchemicum comincia con l’opera al nero e con una putrefazione perché quell’energia solfurea, quella porzione di anima che è stata proiettata all’esterno, deve essere recuperata dall’alchimista. A tale scopo egli la estrae dagli oggetti esterni con un potente solvente capace di raggiungerla, con una azione che “rincrudisca” la materia, permettendo all’Operatore di estrarne lo zolfo che racchiude, il che corrisponde a una sottile azione di tipo psichico sullo stesso Operatore, che deve rendere “interiore” qualcosa che appare come esteriore e, con l’aiuto del fuoco misterioso dell’Opera, deve spezzare involucri che imprigionano energie che, da esterne ed apparentemente estranee a lui, debbono diventare carne della sua carne e sangue del suo sangue.

Il motto delfico “conosci te stesso” quindi, dal punto di vista degli alchimisti, comportava una vera e propria morte psichica. Rinunciare alle illusioni e alle proiezioni, riconoscerne la natura, significa sempre attraversare un lutto, un lutto che tuttavia ha il potere di dare vita a chi lo prova, secondo il detto taoista: “quando il cuore piange per ciò che ha perduto, lo spirito ride per ciò che ha trovato”.

Secondo il Musaeum Hermeticum lo Zolfo è “il cuore di tutte le cose” e nel Liber de alchimiae difficultatibus, che fa parte del Theatrum Chemicum, ciò che anima gli esseri della natura è definito proprio come la “parte nascosta dello zolfo”.

Si può trovare lo zolfo volgare corporeo e terrestre nelle sue miniere e allora esso va sublimato fino ad estrarne le qualità ignee e spirituali. Dice Filalete ne L’Entrata aperta al palazzo chiuso del Re“Quando l’Oro viene unito alla sua sposa (cioè l’argento, la Luna), allora anche lo zolfo coagulante che nell’Oro volgare era rivolto verso l’esterno, viene rovesciato verso l’interno”.

Per Bernardo Trevisano (De Chemico Miraculo“Lo Zolfo non è altro che puro fuoco nascosto nel Mercurio”, mentre in Mylius (Philosophia reformata) lo zolfo filosofico è “semplice fuoco vivo, che vivifica altri corpi morti” “nessuno conosce lo zolfo filosofico se non per rivelazione divina”.

Nell’Aurora Consurgens [2] è definito come “cenere estratta dalla cenere” e viene paragonato a un drago o all’Ouroboros.

Zolfo e Mercurio sono comunque considerati dagli Alchimisti fratello e sorella e spesso le caratteristiche dell’uno vengono attribuite all’altro.

Nel trattato De Sulphure (Musaeum Hermeticum), entrambi hanno la caratteristica di dissolvere, uccidere e vivificare i metalli ed allo Zolfo viene attribuita la conoscenza di tutte le cose: “Nel suo regno c’è uno specchio in cui si può vedere tutto il mondo. Chi scruta in questo specchio può scorgere in esso e conoscere le parti della sapienza del mondo intero e così, ricolmo di sapienza, perviene a questi tre Regni”.

Le sue proprietà sono simili a quelle attribuite all’elemento fuoco. Lo Zolfo, infatti, consuma e brucia ciò di cui si alimenta, causandone la corruzione e la putrefazione, coagula, tinge e colora il mondo, e, infine, porta a maturazione. È associato ai luoghi sotterranei, al fuoco vulcanico e, nella simbologia cristiana, all’inferno ed al diavolo.

In alcuni trattati alchemici (ad es. nel Gemma Gemmarum), lo Zolfo è un dono che Marte fa a Venere, oppure è prigioniero di Venere e da essa dev’essere liberato.

Nicholas Flamel, nel Sommario filosofico, lo paragona a un drago senza ali che dev’essere unito e fuso con un drago alato (il Mercurio), per ottenere il fermento indispensabile per l’Opera Alchemica. Lo stesso autore nel Libro delle figure geroglifiche attribuisce allo Zolfo, il drago senza ali, la proprietà di coagulare, fissare il drago mercuriale, dalla natura volatile.

Anche secondo il Cosmopolita, lo Zolfo è il coagulo del Mercurio: “Infatti c’è differenza tra oro ed acqua ma ce n’è meno tra acqua e mercurio ed ancor meno tra oro e mercurio. Perché la casa dell’oro è il mercurio, la casa di mercurio è l’acqua e lo zolfo invece è il coagulo di mercurio”.

In uno degli Aforismi Basiliani, nel Theatrum Chemicum, è detto: “Ma il potere di animare, una sorta di colla del mondo, è l’elemento medio tra lo spirito e il corpo, è il legame che li tiene uniti entrambi, soprattutto nello zolfo di un certo olio rosso e trasparente, come il Sole nel macrocosmo ed il cuore nel microcosmo”.

Scrive l’alchimista Gerald Dorn che “l’uomo fu, al principio dei tempi, zolfo” e che “lo zolfo è un fuoco distruttore che è alimentato dal Sole invisibile”.

Secondo Il Libro delle Figure geroglifiche di Flamel: “I due draghi (cioè lo zolfo e il mercurio) sono i due serpenti che si avvolgono attorno alla verga di Hermes e che danno al Dio la capacità di trasfigurarsi e mutarsi a suo piacimento”.

“I due draghi – dice ancora Flamel – devono essere chiusi dal Filosofo in un Vaso sigillato ermeticamente, e si dissolvono liberando il più letale dei veleni, che, con la forza delle sue esalazioni, può causare la morte di ogni cosa vivente.

Il Filosofo, però, non avverte mai queste esalazioni, se ha cura di non rompere il vaso, ma si rende conto dei mutamenti che avvengono dai diversi colori che si manifestano durante la fase detta della Putrefazione”.

Zolfo e Mercurio vengono anche paragonati da Avicenna a due cani (Cagna di Corascena e Cane di Armenia) che si uccidono mordendosi a vicenda e morendo immersi nel loro veleno che, dopo la loro morte, si trasformerà in acqua di vita.

Dice ancora Avicenna (citato da Flamel) che “le semenze dello Zolfo e del Mercurio si raccolgono dagli escrementi, dalle scorie del Sole e della Luna”.

Fulcanelli nel Mistero delle Cattedrali fa notare che la frequente affermazione che lo zolfo come materia prima dell’Opera si trovi nel letame o nello sterco, oppure venga “estratto da Venere” [3], va messa in relazione con il fatto che Venere è anche nota come Cipride, χύπρις, “l’impura” o χύπρος, “rame [4] e letame”, omofono con Σουφρος, zolfo.

In un dialogo contenuto nel Nuovo lume chimico, il Cosmopolita ci mostra come lo zolfo, generato dalla coagulazione del Mercurio, sia chiuso in un durissimo carcere da cui non potrà uscire se non dopo un tempo lunghissimo e con gran fatica. In quel carcere ha dei custodi che lo costringono a fare ciò che essi vogliono e viene detto che lo zolfo è l’artefice degli odori e dei colori del mondo, dei fiori e dell’intelletto degli animali, dell’aria pura e di quella corrotta:

“Alchimista:

«Signore, in quale soggetto è lo Zolfo?»

Saturno:

«Sappi per certo che questo Zolfo ha grande virtù: la sua miniera sono tutte le cose del mondo perché è nei metalli, nelle erbe, negli alberi, nelle pietre e nelle miniere»”.

E, più avanti:

“Saturno:

«Lo Zolfo è la virtù di tutte le cose ed è secondo per nascita ma più vecchio di tutti, più forte, più degno, ma fanciullo obbediente»”.

Nel medesimo dialogo Saturno definisce se stesso come il giudice perfetto del carcere in cui giace prigioniero lo Zolfo.

Basilio Valentino nelle 12 chiavi della Filosofiaci dà ancora un consiglio sulla preparazione dello Zolfo: “Colui che vorrà preparare il nostro zolfo incombustibile di tutti i saggi consideri dapprima in sé se sta cercando il nostro zolfo in ciò in cui esso è incombustibile. Ciò non può essere senza che il mare salato non abbia inghiottito il corpo e di nuovo l’abbia rigettato dal suo seno […] e perché non gli succeda nulla di funesto concedigli la volatilità dell’uccello quel tanto che è sufficiente. Allora il Gallo divorerà la Volpe[5], in seguito soffocherà nell’acqua e, risuscitato dal fuoco, sarà a sua volta divorato dalla Volpe così che il simile sarà riportato al simile”.

Ricordiamo che in Alchimia si distinguono due Opere, una Lunare d’Argento o al Bianco, l’altra Solare, d’Oro o al Rosso. Flamel sostiene che per ciascuna delle due Opere sia necessario uno zolfo di tipo diverso e che i due zolfi non devono essere mescolati tra loro, perché, altrimenti, genererebbero un essere mostruoso.

Per estrarre lo zolfo dalle “sue miniere” è tuttavia indispensabile conoscere il segreto del “fuoco dei filosofi”, il misterioso e indispensabile agente che, regolato secondo diversi “regimi” nelle varie fasi dell’Opera, la porta a compimento.

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Note

1. Viene talvolta paragonato al seme maschile. Va detto che alcuni scritti alchemici invertono il simbolismo dello zolfo e del mercurio, associando il primo all’anima e il secondo allo spirito.

2. Apocrifo attribuito a Tommaso d’Aquino

3. “Bada solo al Sole, alla Luna ed al mercurio preparato bene, in modo filosofico, che non bagni le mani, ed uniscilo allo zolfo che anima i metalli. Questo zolfo va cercato come luce ignea in tutti i metalli, ma molto finemente e veramente quasi uguale all’oro lo ritroverai nelle caverne e profondità di Marte e di Venere, che sono ferro e rame”. Nicholas Flamel, Il segreto della polvere di proiezione

4. Il metallo che viene associato al pianeta Venere è, in effetti, proprio il rame. In greco zolfo si dice anche θέιον, parola che evoca l’aspetto divino, magnifico e straordinario delle cose.

5. Gallo e volpe sono simboli del Mercurio e dello Zolfo.

Alessandro Orlandi

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